Addizioni, superfetazioni, gestazioni. Il lavoro più recente di Stefania Cordone chiarisce l’intera produzione degli ultimi anni, interessata – apparentemente – ad uno studio principalmente formale del grottesco e del fantastico. Prima con la serie di pitture sul processo di gestazione e successivamente con una ricerca intorno al concetto di stratificazione urbana e architettonica, iconografia dell’uomo nella sua unità abitativa, il comune denominatore si completa e si esplicita intorno ad una ricerca evolutiva su un archetipo: la relazione, sia essa naturale o artificiale, tra soggetti, oggetti o commistioni, o, ancora, tra testo e immagine.
Che siano fusioni anatomiche, botaniche, fisiologiche o ibridi o ancora sedimentazioni di epoche, o di stili abitativi con rifluenze nel tessuto urbano, il focus è sul rapporto con l’altro, con il tempo, con il divenire.
L’approccio di Stefania Cordone resta invariato: un talento tecnico pittorico non comune unito ad una profondità di riflessione e di riferimenti bibliografici molto consistenti, che danno struttura e sostanza ad un’estetica intensa e riconoscibile.
Anche nella relazione tra immagine e testo, quest’ultimo molto presente come altra metà del cielo rappresentativa, la parola è l’unità segnica che definisce l’uomo e, in una visione di insieme, un’intera collettività, una società o l’intera epoca. Il suo innesto nella composizione scandisce un tempo diverso dall’immagine, e non ne diventa mai didascalia. L’innesto può essere anticamera del mostruoso, del geneticamente incompatibile e quindi del ripugnante, ma è una ferita che dà la vita, nel suo ruolo di addizione artificiosa e al contempo biologicamente possibile e spesso auspicabile.
L’armonizzazione di un innesto è infatti la più grande opportunità di crescita che ci viene concessa.
(testo critico a cura di Michele Spallino)